Post-produzione: trasparenza e coerenza.


Post-Produzione
Si potrebbe pensare che per un fotografo il lavoro sia semplicemente quello di inquadrare un soggetto e schiacciare un bottone ma in realtà per ogni scatto c’è un flusso di lavoro ben preciso e più si consolida ed automatizza questo flusso più tempo si può dedicare a coltivare la propria visione del mondo.

Il mio flusso di lavoro consiste principalmente in 3 parti:

  • Visione
  • Scatto
  • Editing

La visione è lo scatto per come lo vede la mia mente.

Osservo una situazione, uno sguardo, un gesto e la mia mente elabora la visione e nasce l’idea di come sarà lo scatto finale.

Lo scatto è tutto quell’insieme di movimenti che io compio per creare la visione e quindi un insieme di ordini che la mia mente spara a tutto il corpo, una specie di checklist di preparazione ed elenco di modifiche da apportare: attento allo sfondo, abbassati un pò, spostati in là, apri il diaframma, controlla le ombre, segui il soggetto, alza gli iso, trattieni il fiato, metti a fuoco, scatta.

Ovviamente non sono tutti qua e soprattutto non sempre servono tutti ma l’idea è comunque questa.

Un processo meccanico che porta a fissare sul sensore della mia fotocamera la mia visione.

L’editing è l’ultima fase: prendo il mio file raw, lo importo in lightroom e correggo tutto quello che nello scatto non corrisponde alla mia visione.

E’ ovvio che l’editing modifica l’immagine, basta anche solo pensare alla conversione in b/n per comprendere questo concetto.
L’importante però è essere fedeli alla propria visione e sinceri con il nostro osservatore.

Henry Cartier Bresson era inflessibile quando si parlava di post-produzione, esatto la post-produzione esisteva già con le pellicole, mentre io sono un pò più flessibile.

Per come la intendo io è una modifica all’immagine che però deve rimanere coerente con quello che si è scattato.

Non parlo della “chirurgia photoshoppiana”, mi riferisco più che altro a quelle correzioni che devono avvicinare il più possibile lo scatto alla mia visione e quindi focalizzare il mio messaggio per l’osservatore della fotografia stessa.

E’ ovvio che se correggo, per esempio, una dominante cromatica di uno scatto solo in una zona della stessa altero quella che è la percezione generale e quindi vengo meno al concetto di coerenza.

Un’aumento del contrasto, una desaturazione, un ritaglio o una vignettatura che guidino l’osservatore a comprendere meglio il mio messaggio le ritengo correzioni accettabili, e necessarie, per mantenere quella trasparenza di cui parlo.

In questi giorni ho letto su Nikon Sguardi l’intervista a Claudio Palmisano, maestro della post-produzione in Italia, e sono rimasto piacevolmente sorpreso di come la mia visione personale dell’editing sia identica alla sua e quella della sua azienda.

Un’ azienda che comunque è vincolata a delle dinamiche di mercato.

Eppure la fedeltà alla trasparenza ed alla coerenza sono sempre stati il loro marchio di fabbrica ed è proprio questo che i fotografi che a loro si rivolgono cercano ed apprezzano.

Quindi post-produzione sì ma con moderazione e soprattutto mantenendo sempre inalterato il rapporto fra voi ed il vostro osservatore.